Intervista con Sudha

Primal Awareness, "consapevolezza primaria", è un nome significativo. Vuoi spiegare cosa significa?

Primal Awareness è il nome che ho scelto a causa di un fraintendimento che si crea intorno a questo processo. La gente pensa che Primal significhi lavorare a livello emozionale sulle fondamenta dei condizionamenti, regredendo a uno stato infantile. Ma la terapia spirituale, la meditazione, non prevedono che ci si fermi lì. La direzione, piuttosto, è vivere pienamente il presente. Ho scelto il nome Primal Awareness per indicare proprio questo: il diventare consapevoli, qui e ora, dei condizionamenti ricevuti, rompere la trance e liberare l'energia, per godere le nostre relazioni nel presente.

C'è un altro aspetto importante. L'esperienza mi dice che non è abbastanza rilasciare emozioni "negative". Certo, serve a sentirsi meglio, meno sotto pressione. Ma senza consapevolezza non può esserci trasformazione, perché una persona non sa come è arrivata a sentirsi meglio, cioè non sa come ricreare uno stato più luminoso, o più libero.

Quindi Primal Awareness non significa fondamentalmente solo collegarsi allo stato d'infanzia a livello emozionale, ma portare lì la consapevolezza del ricercatore, colui che ha pagato per partecipare al gruppo, colui che aspira a una vita più libera e gioiosa.

Questo processo è stato creato da te?

E' il frutto di tutta la mia comprensione. Non so come lavorino gli altri terapisti, ma a volte arrivano da me clienti che mi dicono di aver tatto la Primal e noto che non hanno nessuna consapevolezza dì quali siano i loro problemi, o non hanno raggiunto quel punto nel quale si inizia a prendersi la responsabilità della propria vita e delle proprie scelte, nel presente. 


E' la comprensione della meditazione che sta dietro tutto ciò. La vita è nel presente, non nel passato; l'amore è nel presente, non nel passato. Quindi tutto il lavoro riguarda l'aiutare le persone ad arrivare dove sono, per poter proseguire nella crescita, nel viaggio dell'autorealizzazione.

Credi che tutte le nostre ferite vengano dall'infanzia?

Cosa intendi per ferite?

Quel senso di non essere liberi da un dolore, per esempio, o di avere subito degli shock, di non essere stati rispettati come individui, o di non aver avuto la libertà di esprimersi

In questo senso sì. Il condizionamento dell'infanzia, quello della personalità, è completo già a 6 anni, qualcuno sostiene addirittura a 4. La struttura base della personalità, l’identità, il cuore del gioco delle identificazioni, tutto a quel punto è già saldo. Quello che si aggiungerà dopo, nella fase successiva, è solo un condizionamento sociale, un tocco finale. 


Se una persona guarda davvero in profondità dentro se stessa, si accorge che quello che accade nella vita adulta, magari un'esperienza dolorosa, è solo la ripetizione di qualcosa che era già stato preparato, qualcosa che aveva già un suo posto nei condizionamenti dei primi anni di vita. E' come se il palco fosse già stato preparato per la performance adulta.

Per esempio, se qualcuno da bambino ha fatto l'esperienza di un abuso sessuale, di solito lo dimentica, perché è estremamente doloroso e troppo grande da integrare per un ego sviluppato. Nella vita adulta questa persona potrebbe trovarsi a finire ripetutamente in relazioni violente, o comunque non rispettose della persona, senza capire perché gli succeda. Ma se osserva con attenzione, si accorge che non è la prima volta che accade, tutto era già pronto da molto tempo prima. Quindi se non ci si risveglia a questa consapevolezza, la vita diventa una ripetizione dello stesso sistema di relazione imparato all'inizio.

Quando citi I’ipotesi di un abuso non ti riferisci solo a quello sessuale, vero?

No, un bambino può subire un altro livello di abuso, per esempio una relazione incestuosa a livello psicologico, con il genitore dell'altro sesso, in questo caso non "c'è" un abuso fisico concreto, ma l'effetto è lo stesso. Ecco perché spesso la gente ha la sensazione di qualcosa che non va a livello di intimità, o di sessualità, un feeling che forse qualcosa di strano sia successo, "a livello di abuso ... 


Ma se scava, non riesce a rintracciare nessun abuso effettivo. Se una persona in questa situazione esamina davvero dentro se stessa, scopre di aver avuto un incesto di tipo psicologico nella relazione con il genitore del sesso opposto.

Esiste un modo "giusto", per una persona, di confrontarsi con argomenti così delicati?   

Quello che è giusto dipende da ogni individuo, da dove si trova, dalla sua capacità di rischiare, di incontrare emozioni che sono lì da tempo, represse. A volte non è facile affrontare traumi dell'infanzia, ecco perché insisto sul fatto che chi vuole fare questo percorso dovrebbe avere un'esperienza di meditazione.

E' possibile che la mente interferisca, creando fantasie in merito a quanto accaduto nel passato? E anche se succedesse, nasconderebbe comunque un'indicazione?

Se c'è un risultato, c'è una causa. Se un adulto ha difficoltà in merito alla propria intimità, o ad avere una sessualità gioiosa, o fiducia nella vita, allora c'è sempre una causa. Magari non fisica, più facile da percepire. E un incesto psicologico, un'invasione dei confini nel rapporto tra un genitore e un figlio, è più difficile da percepire, o forse da accettare come incesto, come invasione dei confini.

In che modo l'andare nel passato, l'Infanzia appunto, e lo stare nel presente, sono collegati?
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Beh, è dal presente che andiamo nel passato, e se non siamo radicati nel presente, per esempio attraverso la pratica di tecniche di meditazione, forse non è una buona idea esplorare il passato. Non farebbe che aumentare le identificazioni, anziché liberarci da esse.

Se per esempio a qualcuno nell’infanzia è stato detto che non era abbastanza bravo, da adulto continuerà ad avere quest'idea dentro di sé. Anche se è una persona di grande successo nella vita, avrà sempre questa sensazione di non essere bravo abbastanza, per questo motivo è facile che diventi un workaholic, uno stacanovista.

Se non medita va incontro a un pericolo: nel passato potrebbe trovare conferma del suo credo di non valere mai abbastanza, anziché liberarsene.

In che senso la meditazione aiuta a stare con quello che si trova nel proprio percorso di crescita?   
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La meditazione aiuta la gente a stare innanzitutto con se stessa, è un esercizio a stare con sé stessi anche quando è scomodo, doloroso, quando provoca ansia o paura. Se nell'età adulta non si impara a essere presenti a ciò che si sente, a sospendere i giudizi (anch'essi condizionamenti dell'infanzia), come si possono esplorare emozioni del passato?

E occorre farlo, occorre affrontare un insulto all'individualità per non essere identificati con esso, anche se non lo ricordi coscientemente. La meditazione prepara il terreno, la capacità di tollerare il dolore del passato. Ma per farlo si deve essere in grado di stare con quello che c'è nel presente.


Chi non ama stare con se stesso, in questo senso, spera sempre che ci sia qualcuno a salvarlo da fuori …

In Italia questo è un problema che sento più che in altre nazioni. Credo sia a causa del condizionamento cattolico che ha effetti su come le persone si muovono, vivono, cosa pensano. E questo anche se molta gente, a livello cosciente, non "crede”.

Spesso la persona viene da me e non ama meditare, non ha voglia di farlo. Ma ha un condizionamento secondo il quale qualcun altro si deve prendere cura di lei, qualcun altro sa meglio di lei come stanno le cose. Ed è un meccanismo profondo, viene dall'idea di un dio fuori di noi che sistema tutto, e noi non dobbiamo far nulla.

Per la terapia spirituale e la Consapevolezza Primal, non funziona affatto così. L'unica cosa che porta trasformazione è ciò che le persone scoprono dentro di se, per se stesse. Quindi il mio scopo è aiutarle a entrare in contatto con la loro interiorità, la loro intelligenza, la loro ricerca. Il mio lavoro non è quello della psicoterapia, affatto. Richiede che le persone abbiano iniziato a cercare dentro di se. Senza questo, il lavoro non ha senso.

Spesso chi inizia a meditare non ha alcuna esperienza di introspezione psicologica, ma la meditazione presto accende anche quel tipo di interesse. Dopo tre mesi di kundalini uno magari fa un gruppo …

Le cose vanno in simultanea. C'è molta sovrapposizione tra l’esplorazione psicologica e la meditazione. Si supportano a vicenda ed è necessario che sia cosi. Nell'inchiesta spirituale, per esempio, nel caso di chi vuol sapere "chi sono io", le prime cose che incontra sono tutto ciò che lui non è. E tutto ciò che non si è va attraversato, non negato.

In questo senso il lavoro psicologico è importante per un ricercatore spirituale, perché è l’identificazione che intralcia l'autorealizzazione.

In un certo senso sembra che due fenomeni accadano insieme: una nuova nascita per l'essere, da una parte, e la morte, dall'altra. Lavori anche con questo tema?
Qualsiasi processo di decondizionamento include la morte. Cos'è la morte? E' la dissoluzione del conosciuto e l'ingresso nello sconosciuto, Chi ha paura di morire al condizionamento, a livello psicologico, non sarà in grado di vivere, di esplorare la vita, il proprio potenziale. Preferirà ripetere ciò che è conosciuto e sicuro, anche se quel sicuro e conosciuto portano solo miseria e infelicità.
E' un altro condizionamento?

Assolutamente si. Tutto ciò che interferisce con il movimento dell'anima verso l'autorealizzazione è un condizionamento, nient’altro che questo. E il percorso di crescita, come continuo a ripetere, consiste nel liberarsi dal passato e entrare nel presente. A diversi livelli, con approcci diversi, si tratta sempre di liberarsi dal passato.

Ci sono diversi strati di condizionamento, quindi più si va avanti più se ne scoprono di nuovi …

Si, è un viaggio non una fermata unica! E ne approfitto per dire un'altra cosa. Mi sembra ci sia molta inconsapevolezza sull'interiorità.
Lo capisco quando qualcuno, di fronte a un certo tipo di dinamica, mi dice:
Ma come? Ho già fatto la Primal! Questo indica non sapere come siamo fatti dentro. Non siamo fatti così, la crescita non accade nei gruppi, accade nella vita. I gruppi forniscono strumenti per esplorare problemi non esplorabili da soli.

Ma il ricercatore vero non ferma la sua ricerca quando non è in un gruppo. Il suo è un processo, un meraviglioso, evolutivo, continuo processo. A 20 anni un problema con la madre potrebbe riflettersi nella relazione in un certo modo, a 50 anni sarà una cosa completamente diversa. Poi arriva un momento in cui è tempo di lasciare il passato e di entrare nel presente, per espandersi li ed essere chi siamo davvero.

Credi che la meditazione basti per integrare il processo di un gruppo nella vita di tutti i giorni?
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Sì, la meditazione è abbastanza. Se qualcuno è così ferito e danneggiato da aver bisogno di molto sostegno, forse dovrebbe fare un altro tipo di lavoro. Osho ha detto una cosa molto interessante in proposito. Un terapista gli ha fatto una domanda a proposito di una persona che è andata molto in confusione in un gruppo che andava molto in profondità, e Osho ha detto qualcosa che ci ha sorpresi tutti, come terapisti spirituali.

Ha detto: "Non siamo qui per portare l'anormale a diventare normale. Siamo qui per portare il normale al supernormale".

E' stato scioccante, un duro colpo al condizionamento cattolico. Ma l'ho apprezzato davvero, mi ha dato una certa chiarezza a proposito del perimetro del lavoro che stiamo facendo, a proposito del contesto nel quale ci stiamo movendo. Lo potrei ripetere all'infinito: si tratta di supportare il sano perché diventi più sano.

A volte la gente pensa che sia sufficiente comprendere le cose a livello mentale.

Non porta nessuna trasformazione. Perché non è stata solo la mente a essere condizionata. Il condizionamento arriva fino nelle ossa, specialmente quello dei primissimi anni.

Dicevi che la memoria del tempo che precede la formazione dell'ego è molto diversa da quella successiva. In che modo questo fatto determina il tuo lavoro?

E' più difficile ricordare eventi del periodo in cui l'ego non si è ancora formato. Quando inizia a svilupparsi, la memoria si manifesta per immagini, come ricordo di certe cose. Ma prima, gli eventi non vengono ricordati nello stesso modo. Vengono ricordati, però, perché le cellule ricordano tutto. Ma a volte la persona non si fida di questa memoria "cellulare" proprio perché è diversa. In questo senso non ci si deve scoraggiare perché ci sembra di non avere ricordi di riferimento.

Quali sono le chiavi d'accesso a questo tipo di memoria?

Il disegno, le fantasie guidate, l'ipnosi . .. la magia!

Termini la Primal con un lavoro di inquiry, Who is in o Who am I? Perché?

Nella ricerca il lavoro sul passato dev’essere integrato nel presente. E' naturale chiedersi "se non sono questo, né tutte le cose che ho creduto di essere per tutti questi anni, allora chi sono io?"

Un ricercatore arriva naturalmente a questa domanda, se non succede è perché il lavoro fatto sul passato non è andato abbastanza in profondità, e l'identificazione, col passato è ancora troppo grande. E quando una domanda arriva da dentro è vera, ha il fuoco dentro, la persona vuole davvero sapere.